N.

N.

Mi manca quell’uomo. Serio, educato, preciso. La sua puntualità che faceva a botte con una distrazione quasi fumettistica. Mi manca il suo sorriso semplice. Le osservazioni che solo una persona onesta sa dispensare. Mi mancano quelle battute un po’ più spinte in cui molto raramente si lasciava andare e che lo divertivano come se le avesse sentite piuttosto che pronunciate. Mi manca quel suo saluto familiare che lo annunciava e precedeva quando m’incontrava in un posto preciso. Mi manca quella sua ingenuità che a volte fioriva in candore.
Negli ultimi tempi era scattata qualcosa tra noi. Dopo un cammino fatto di piccoli passi e di gesti misurati era stato come ritrovarsi in un sentiero alberato, bianco, senza buche nascoste.
L’ultima volta che l’ho visto faceva freddo. Attraversava la strada, chiuso in un giacchino che sembrava troppo leggero e che lo rendeva un po’ più piccolo e curvo. Pallido. Ai miei occhi imprecisi appariva poi incerto nell’incedere. Zoppicante. Protetto dal guscio di un’auto con la targa di satana non mi ha visto. E forse è stato meglio.
Si sarebbe dispiaciuto a vedermi in quei giorni: non dovevo avere una bella cera.
Ogni tanto mi capita di rivederlo. Nei gesti garbati e nelle raccomandazioni di un uomo dietro un registratore di cassa. Nella serenità del marito che cammina ed ascolta paziente la donna che tiene a braccetto. Nel signore elegante che cede il passo sull’autobus ad un ragazzo un po’ grigio e con la barba incolta. E lo risento in frasi che io stesso pronuncio davanti ad amici nuovi o promessi. O nelle associazioni di idee che alcuni spot pubblicitari sollecitano.
Spero stia bene. E che mantenga quella sua giovinezza e quella sua determinazione che ben pochi uomini possono vantare.

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