Due forme diverse

Due forme diverse

E’ quando rientri a casa che te ne ricordi. La senti nel silenzio delle stanze rimaste al buio. La vedi sull’appendiabiti vuoto. La respiri nell’aria senza odori che trovi. Ferma, inespressiva, indifferente: è una sequenza già vista tante volte eppure non sembra diventare mai familiare. Si lascia guardare senza alcuna voglia di accoglierti. Non ci sono rumori o voci dal televisore né alcuna nota o suono proviene dalla radio, dallo stereo o dall’hi-fi (che tanto c’hai giusto quelle casse 2.1 che poi colleghi all’ipod).
Trovi solo quello che hai lasciato la mattina andando a lavoro. In versione By Night.
Arrivi. Infili la chiave. Apri la porta. Accendi la luce. Chiudi la porta. Giri la chiave. Metti la catena. Quando sei meno stanco dici “hei di casa, sono rientrato!”.
La sveglia da muro ti dice che le diciannove sono passate da un pezzo. Anche questa volta. Vai al cesso, ti dai una rinfrescata, sistemi la spesa e dal frigo aperto tiri fuori una birra presa al discount.
Per allontanare la stanchezza, ti dici.
Ti siedi sul divano, dai un sorso, ti rialzi, prendi il telecomando dal tavolino in vetro. A volte apri la finestra e guardi oltre il palazzo di mattoni che ti si para davanti. Poi lo noti. Nero, con una lucina in basso. Quando è spento è blu ma diventa arancione appena lo accendi. Fa un po’ strano, dovrebbe essere il contrario.
Per qualche secondo ci pensi e poi decidi se puoi fare a meno di accendere il televisore o no: due forme di solitudine diverse ma che inizi a sentire già dall’ultimo gradino su cui posi il piede prima di fissare la porta.
Grava sulle spalle. Come uno zaino che d’un tratto diventa pesante e ti incurva in avanti…

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