Canguri

Canguri

Ha appena chiesto informazioni all’autista. Sarà lui a dirle quando scendere. Eppure se ne sta lì, aggrappata alla barra che separa il posto di guida dal resto dell’autobus. Ha l’aria preoccupata. È stanca.
Il collo teso, le mani vicine, la testa che spunta poco più sopra: da lontano potrebbe sembrare una madre che gioca al canguro con il proprio figlio. Sul suo piccolo viso sono state distribuite con ingenerosa abbondanza rughe che non sembrano dovute alla sola età.
Ammesso che non siano i tratti asiatici ad ingannarmi. Dentro quei piccoli solchi scorrono liquidi i raggi del sole biancastro di Settembre. La fronte resta tesa, indifferente alla luce pallida che ora fa abbassare il parasole al conducente. Attraverso i suoi vecchi occhiali emerge uno sguardo inquieto. E’ come se stesse cercando di memorizzare il maggior numero di dettagli possibile. La gonna blu è un giardino pieno di rose bianche. Nonostante il tempo trascorso dal giorno dell’acquisto non sono ancora sfiorite. Sopra di esse gracchiano i merli di una maglia sgualcita. Ogni tanto la vedo sollevarsi sulle punte dei piedi per alzare il suo orizzonte, in cerca del punto di arrivo o di qualcosa che è già accaduto ma non ha ancora visto

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