Giulia

Giulia

Usciamo dal Palazzo di Re Enzo. Salutiamo Gianluca e poi con Chiara decidiamo per un quadrato di pizza da Altero. Facciamo qualche bella chiacchiera prima di darci la buonanotte e dirci “a presto”. È stata una serata molto gradevole e sono contento di essere uscito. Accorcio la mia strada facendo una diagonale in piazza VIII agosto. Salto una fermata. Per qualche ragione preferisco prendere l’autobus di fronte allo Sferisterio. Trattengo una risata pensando a Franz che nel cazzeggio lo chiama “Sfinterio”. Ci sono solo tre persone ad aspettare. Sono un po’ più spostate rispetto a dove ci si aspetterebbe di trovarle. Guardano alla loro destra, verso un ragazzo che sta seduto per terra con le gambe distese e la schiena appoggiata al palo rosso degli orari, rivolta contro di loro. Ha i capelli neri neri e la carnagione olivastra.È minuto. Potrebbe essere indiano ma a guardarlo meglio i lineamenti suggeriscono una più probabile origine dell’Italia meridionale. Sicilia. O Calabria.

Non so bene cosa fare, vedo che sta immobile. Ha gli occhi chiusi, la testa è leggermente piegata in avanti. Un po’ mi preoccupa.
Mi smuovo dal torpore dell’indeciso e lo tocco.
Tre volte, poco sotto la spalla sinistra. Tap Tap. Tap.
“Scusa…” dico per giustificare il mio gesto.
Lui si sveglia o comunque apre gli occhi. Impiega un po’ a realizzare. C’è confusione nel suo sguardo. E tristezza. Tanta.
È palesemente stanco. Sfinito. Colgo i segni di qualcosa che ho imparato a conoscere anche io. Ma che forse vedo un po’ troppo ovunque.
Mi guarda senza fare domande, come se fosse ovvio il perché lo abbia chiamato.
Gli chiedo: “Tutto ok?”.
Fino a quel momento avevo pensato di dire “Are you fine?” ma proprio in zona Cesarini ha vinto l’altra frase.
“A posto?” aggiungo allargando i palmi aperti delle mani.
“Sì, no, mo me ne vado a ccasa”. Calabrese.
“Guarda, comunque sta arrivando l’autobus. Il venti, è lì giù”.
“No no, ma tanto non lo devo prendere, mi ero solo fermato n’attimo”.
Non sono sicuro che abbia detto proprio così. L’ultimo verbo l’ha ricostruito la mia mente.
Si alza senza barcollare, solo molto più lentamente del normale.
Entra nel portico di via Irnerio mentre io salgo a bordo. Cammina piano, un po’ malfermo sulle gambe.
Una ragazza bassina, con il caschetto biondo cenere ed il mento pronunciato mi chiede cosa avesse quel ragazzo.
“Non sembrava un tipo che sta sulla strada, no?” le sento chiedere.
Sono ancora un po’ distratto dall’eco di quanto appena successo e ho bisogno di qualche secondo di extra time per elaborare le sue parole.
La osservo nel suo giaccone imbottito, un po’ troppo caldo per questa stagione. Per un attimo penso di conoscerla, poi realizzo che quella sensazione di familiarità deriva in realtà da un’altra cosa: dal fatto che sta dicendo una cosa giusta: ha ragione, c’ha preso! È stato proprio quello a colpirmi ed a farmi muovere: non sembrava un “ragazzo di strada”.
Le descrivo quello che ho visto: un viso molto triste e le racconto cosa mi ha detto: due mezze frasi appena.
“A volte …è davvero difficile”, commentiamo banalmente. Forse ci sarebbe piaciuto parlare oltre. Ma non quagliamo. Ci sediamo, su file differenti. Quando scendo mi giro per salutarla. Ci scambiamo un ciao. Tiro su il cappuccio per ripararmi dalla pioggia e ficco una mano nella felpa per toccare le chiavi.
Nelle scale sento una musica. Proviene dalle cuffiette che avevo tolto e messo in tasca senza spegnere il lettore. Stacco il jack dal telefono e continuo a salire.
A casa lavo due piatti. Erano rimasti lì dall’ora di pranzo. Sento una ragazza che grida. “Vattene via, lasciami in pace. Lasciami in pace, lasciami in pace!!”.
Non deve essere un quartiere di relazioni fortunate questo, a giudicare dalla frequenza con cui avvengono queste scene.
Chiudo l’acqua, mi asciugo le mani e vado a lavarmi i denti. Trovo la mia immagine nel rettangolo dello specchio. Ma c’è qualcosa di strano: sulla faccia due strisce blu scendono quasi parallele alle basette. Giulia. E la sua crema fluorescente: mi rendo conto aver parlato con quelle persone mantenendo un atteggiamento serio mentre avevo quei segni sul volto…
Sorrido, spengo la luce e vado a letto.
Fuori rimane solo il rumore del traffico.

I commenti sono chiusi.