Impressionare

Impressionare

Credevo che la foto di quei bidoni pieni di scimmie morte sarebbe stata la cosa più impressionante della giornata. Ed invece Con Chiara e Rob entriamo in questo Interno 4, a pochi passi dal bar in cui c’eravamo dati appuntamento per un aperitivo. La pioggia e l’ombrello con la zampa rotta stavano per darla vinta alla mia stanchezza: ultimamente non fa che aumentare costantemente, come ruggine che morde una lastra di ferro inanimato. Ma per domani non ci sono sveglie, lo studio è chiuso, non si lavora, tanto vale approfittarne ed uscire. Il posto in cui vivo, per quanto piacevole sia, non è ancora “casa mia” e le pantofole a volte pesano ben più del chilometro e mezzo che mi separa dal centro. Meglio trascorrere del tempo con gli amici. Per rilassarsi. E per tenere buono il cervello. Dandogli in pasto un po’ di musica, di belle chiacchiere. O semplicemente un paio di sorrisi familiari.
Entriamo in questo appartamento al primo piano: è enorme. E molto vecchio. Lentamente guadagnamo spazio muovendoci a fatica tra i molti presenti. Sarà così per il resto della serata. Le camere sono state svuotate di ogni mobilio. Dentro ognuna di esse c’è una diversa installazione. Ed ogni installazione ha un suo tipo di luce. Dentro ogni luce c’è un musicista che compone, imporvvisa, suona un breve set. Nella prima stanza ce ne sono due. Luce blu. Luce rossa. Si spegne la prima appena il chitarrista appoggia la sua jaguar e si accende quella rossa a completare il fade sonoro tra i due.
Sullo sfondo della seconda stanza, che ha l’aria di essere un laboratorio, la sagoma impagliata di un airone posa su un ritaglio di palude tropicale, ricostruito a ridosso di una parete ocra: malinconia cromatica accresciuta dalla polvere che il trampoliere ha assorbito negli anni. Poco dietro la porta invece, incorniciato dal legno di un soppalco, la musica e chi la esegue sono illuminati ad intermittenza da un led color ghiaccio.Tutte le esibizioni sono degne di nota e stimolano a proseguire il percorso. Ci spostiamo quindi da un punto all’altro della casa, seguendo il resto delle persone, come scaglie di un serpente che si muove con lentezza. Calpesto alcune mattonelle saltate ma non riesco ad abbassare lo sguardo. Alzandolo, quello che vedo è un gatto imbalsamato ed attaccatto al filo di una lampadina come se fosse un grottesco coprilume. E’ immobilizzato in una smorfia di rabbia ed i suoi dentini aguzzi spuntano come se davvero stessero per chiudersi sulla carne di qualcuno. E’ incazzato nero con tutti quel micio, ed ha ragione.
Da dietro una porta chiusa trapela una luce verde. Ad intervalli che non sono riuscito a calcolare si apre e, al posto di un’installazione, c’è un servizio bar.
Da qui, girando a sinistra, in un corridoio stretto stretto, qualcuno cucina altri suoni. Sulla sua testa pende malamente un lampadario con una sola lampadina accesa. E’ attaccato in un angolo, in una posizione del tutto improbabile. Ma ha il suo senso. Guardiamo anche l’ultima esibizione, quella che precede l’annunciata “breve pausa” e poi ci coloriamo un po’ di verde facendo urtare tra loro i tre contenitori che ci appaiono in mano. Da lì a poco imbocchiamo la porta.
Sta bene a tutti fare un’altra tappa prima di tornare alle nostre dimore.
Dal Calabrese prendiamo una birra ed un panino, seduti all’ultimo tavolo. Parliamo della serata, della performance proposta, della casa. Cerco le parole giuste per spiegare il mio senso di impressione, partendo dall’accezione che il verbo sottende: restare colpiti, turbati da una forte emozione… Ragioniamo sul significato di casa e sul binomio con il senso di accoglienza che dovrebbe esserci. Sono belle le osservazioni dei miei amici. Abbiamo registrato tre sensazioni diverse e non sono in conflitto tra loro. Non del tutto. Mi ritrovo perfettamente in sintonia con quanto dice Chiara ma anche Rob ha un punto di vista “tecnico-edilizio” che ha tutta la sua ragione d’essere.
Impressionare, penso poi senza dirlo, è anche un termine usato in fotografia. Quando la pellicola viene esposta alla luce e lascia entrare le immagini, facendole sue. Così sono queste ultime parole che scambiamo: fanno entrare immagini che si fissano sulla mia lastra. E poco conta se una parte di questa è ormai arrugginita.

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