Play me, I’m Yours

Play me, I’m Yours

In una delle gallerie della stazione di St.Pancras, a King’s Cross, in mezzo alle file di negozi e di fast food che riempiono l’intera area ci sono due pianoforti. Il primo è appoggiato al vetro di un vano ascensore mentre il secondo si trova sotto una rampa di scale. Sono un po’ malridotti ma le note sembrano uscire senza particolari intoppi. Su entrambi c’è una scritta bianca, tanto semplice quanto bella: “Play me, I’m yours”. Ed è quanto succede: le persone si fermano. E li suonano. Con la naturalezza che si usa per le cose che vanno bene. Per le idee che funzionano. In base all’orario le musiche proposte sono diverse. Negli orari di punta si sentono ritmi più incalzanti mentre nei momenti di minor traffico anche le melodie sembrano essere più distese e rilassate. La mattina che siamo partiti per il sud della Gran Bretagna, diretti a Camber Sands nell’East Sussex, avevo da risolvere alcuni grattacapi. Mi stavo quindi dirigendo verso la biglietteria mentre Vincenzo, all’ingresso principale, aspettava con le valigie che arrivasse anche Cinzia. Cammino e da lontano vedo una ragazza con i capelli color miele. Bellissima. Ha i pantaloni verdi, scarpe di tela scure ed una giacca grigia. La vedo sedersi al primo pianoforte, con un gesto prossimo all’eleganza. Nonostante avessi fretta rallento il passo per sentirla suonare. Quando le passo vicino mi accorgo che oltre a suonare sta anche cantando. Piano, ma non troppo. Con la testa accompagna le parole ed i suoni che produce pigiando i tasti. Ho una sensazione di familiarità. E mi viene la certezza che avrei presto risolto quei problemi che potevano mettere una seccante marcatura sulla gradevolezza della vacanza. Faccio un po’ di fila e ripeto mentalmente alcune frasi prima che arrivi il mio turno. Frasi che invece poi, improvvisando, non avrei usato. Da dietro il vetro della biglietteria una ragazzona zero sorrisi ascolta cosa ho da dirle. “Good morning, I have a huge problem...”, esordisco io più o meno. Lei ascolta. E sempre senza sorridere mi chiede prima la carta d’identità e subito dopo due minuti di pazienza. Tutto va per il verso giusto. Ritorna con cinque preziosi tagliandi arancioni e bianchi. Ringrazio e, come mia abitudine, auguro buona giornata. D’un tratto mi sento risollevato. Penso che risolvere i casini a volte è anche più bello di non averne affatto. Mi dirigo soddisfatto verso l’uscita. Nel tragitto incrocio Cinzia. Parliamo velocemente, più che altro a gesti. Le comunico l’esito positivo, ci diamo appuntamento alle macchinette in fondo alla sala e procedo oltre per andare a recuperare Vincenzo. Le persone sembrano camminare senza fretta. Mi piace questa cosa, penso.
Passando davanti al secondo pianoforte trovo una coppia di anziani. Lui suona, lei si appoggia a poco a poco al suo braccio destro. C’è chi si ferma a fotografarli. Per un attimo mi fermo anche io. Lui sorride arzillo. Lei lo guarda come se fosse un bambinone. Ma c’è amore nei suoi occhi e devo rimettermi in moto prima che i miei pensieri perdano leggerezza pescando parole sbagliate. Quando il nostro piccolo gruppo si ricompatta decidiamo per un dolce ed un caffè prima della partenza. L’umore è alto. Ridiamo per ogni cazzata che diciamo e facciamo il punto della situazione: orari, spesa, checkin degli appartamenti, cose così. Prima di alzarci entra la cantante bionda di prima. È insieme ad alcuni amici e si siede ad un tavolo poco distante dal nostro. Noi prendiamo i nostri piccoli bagagli ed usciamo contenti, diretti ad un binario che dovevamo ancora trovare. Gli amici parlano e la cantante risponde. Ha uno sguardo dolce e sta bevendo il suo Americano da una tazza enorme che le nasconde tutto il viso. Provo una bella sensazione.
L’alba perfetta di una vacanza che avevo davvero bisogno di fare.

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